PARTE PRIMA

 

 

STORIA

La terra di San Secondo confina a mezzogiorno col comune di Fontanellato, mentre gli altri lati sono cirscoscritti dal corso del torrente Taro, dal Rio Rovacchia e dallo Stirone. Oltre al centro propriamente chiamato di S. Secondo, vengono a comporre tutto il comune i quattro quartieri denominati dei Baroni, del Canale, dell'Argine, di Copezzato (1) e le frazioni dei Ronchetti, di Orticelli, di Castellaicardi e del Pizzo.

La Storia di questo territorio si può dividere in tre distinti periodi.

Il primo è il periodo prefeudale e va dalle origini al 1365 e comprende due capitoli:

Widiboldo e la

Signoria del Capitolo del Duomo di Parma.

Il secondo periodo è il periodo feudale, il più interessante ed il più fecondo, che si dilunga nella seguente cronotassi dei feudatari appartenenti alla nobile famiglia dei Rossi:

1365 - Giacomo di Rolando Rossi – 1° Conte di San Secondo

1396 - Bertrando d'altro Bertrando Rossi – 2° Conte di San Secondo

1404 - Pietro Maria 10 di Bertrando Rossi – 3° Conte di San Secondo

1440 - Pietro Maria 2° di Pietro Rossi – 4° Conte di S. Secondo

1482 - Giovanni di Pietro M.a 2° (il diseredato) 5° Conte di San Secondo

1502 - Troilo 10 di Giovanni – 6° Conte e 1° Marchese di San Secondo

1521 - Pietro Maria 3 di Troilo 1° - 7° Conte e 2° Marchese di S. Secondo

1547 - Troilo 2° di Pietro M.a 3° – 8° Conte e 3° Marchese di San Secondo

1591 - Troilo 3° di Troilo 2° - 9° Conte e 4° Marchese di San Secondo

1593 - Federico I di Troilo 2° - 10° Conte e 5° Marchese di San Secondo

1632 - Troilo IV di Federico 1° - 11° Conte e 6° Marchese di S. Secondo

1635 - Pietro M.a IV di Federico 1° - 12° Conte e 7° Marchese di S. Secondo

1653 - Scipione 1° di Federico 1°– 13° Conte e 8° Marchese di S. Secondo

1680 - Federico 2° di Scipione 1° - 14° Conte e 9° Marchese di S. Secondo

1754 - Pietro M.a V° di Federico 2° - 15° Conte e 10° Marchese di S. Secondo

1754 - Scipione 2° di Pietro Ma V° – 16° Conte e 11° Marchese di S. Secondo

1802 - Gian-Girolamo di Troilo Rossi, cugino a Scipione Rossi - 17° Conte e 12° Marchese ed ultimo del Feudo di San Secondo.

La Famiglia dei Conti Rossi si spense nel febbraio 1825 colla morte del Conte Guido, fratello a Gian-Girolamo, il quale unitamente ad altri tre fratelli non ebbe successione.

Il terzo periodo parte dall'abolizione dei feudi, cioè dal 1802, e giunge ai nostri giorni.

 

 

I. - PERIODO PREFEUDALE

Secondo P. Wadingo fin dal secolo nono era noto un luogo detto di San Secondo, da individuarsi ora a i Km. circa a sud, ove esistevano una Chiesa Curata, conosciuta col nome di Castelfranco, e un palazzo Pretorio per l'amministrazione della giustizia. Ogni traccia di queste costruzioni venne cancellata e si dissolse nel tempo.

La tradizione ritiene che questi edifici sorgessero a breve distanza dalla casa colonica del podere che costituiva la dote della prebenda canonicale e che sulle loro rovine il Conte Pietro Maria Rossi facesse erigere nel 1470 il convento e la Chiesa dedicati a S. Maria delle Grazie.

Nelle adiacenze, scavando il terreno, si trovarono vestigia di ruderi ed alcune monete.

Notizia d'altro edificio, ora scomparso, appare fra le righe dell'Angeli: (1) " poco lontano da S. Secondo in riva al Taro ove dicesi Taro Morto, vedesi ancora un'antica torre, che oggidì si trova in piedi, nella quale restano, in memoria, i ferri ai quali si raccomandavano le barche, che in quello entravano, a sinistra di questo fiume camminando più su della foce a tre miglia si vede Sissa ".

 

 

II. - WIDIBOLDO VESCOVO

Una pergamena dell'894, conservata nell'Archivio Capitolare del Duomo di Parma, ricorda che, sotto il pontificato di Benedetto III, fu elevato alla sede vescovile a un Widiboldo o Wiboldo, persona ricchissima, fors'anche imparentata con Carlo Magno. Questi ottenne conferma di donazioni da lui elargite, fra cui è nominata anche la terra di San Secondo ... . in locum Sancti Secundi) e, con atto testamentario, (2) cedè le sue terre ai Canonici e sacerdoti componenti il clero della chiesa maggiore di Parma, lasciandone usufruttuari i propri fratelli Rodolfo, Geroino, Otta sua cognata ed una suora Azzia o Wolgunda sua consuanguinea: tale usufrutto cessò ai primi del secolo X. Widiboldo morì il 29 novembre 895 e fu sepolto nel Duomo di Parma, ove è tuttora ricordato da una lapide postavi nel 1395 e da altra posteriore del 1567 (3).

 

 

III. - SIGNORIA DEL CAPITOLO DI PARMA

L'8 agosto 899 l'Imperatore Lamberto, mentre risiedeva in Pavia, approvò a favore del Capitolo della Cattedrale, la disposizione testamentaria di Widiboldo riguardante le terre di San Secondo e tale documento è riportato dal Muratori nelle "Antichità italiane ".

Nel 921 e 922 i Canonici fecero ricorso a Berengario, re di Italia, onde ottenere conferma dei loro possessi. Nuova rafferma ottennero nel 936 da Re Ugo e dal figlio Lotario ed in tale atto è nominata, quale usufruttuaria del Castello di S. Secondo, Suor Azzia.

A suffragio della propria anima, il 26 dicembre 942, un Conte Suppone figlio di Radiero, dona al Capitolo molti beni siti in Palasone a poca distanza da San Secondo. Detti beni vennero, in seguito, accresciuti da Oberto, figlio di Adalberto (4).

Il 1° gennaio 998 Ottone III Re d'Italia emetteva un sovrano diploma col quale, elevandosi a protettore del Capitolo, confermava al medesimo la proprietà " Curtem de Palacione quae dicitur Sancti Secundi cum castello et villis ". (5)

Nel 1000 la Contessa Ferlinda, figlia di Bertrando, cedeva ai Canonici una porzione del castello e delle Cappelle di Palasone unitamente ad altri beni.

Il 18 Febbraio 1039 Bonifacio, marchese di Toscana, donava al Capitolo la quarta parte della corte, castello e cappella di S. Secondo: " et de capella foris eodem castro consacrata ad honorem Sancti Secundi " (6) riservandosi solo quattro masserizie, (7) una in Gaio e tre in S. Secondo, e riceve dai Canonici, in precaria, il luogo e castello di Solignano con altri beni.

Con atto notarile di Uberto, steso nel sacro Palazzo l'8 aprile 1087, Adalberto prete, Odone, e Ubaldo fratelli donarono ai canonici del Capitolo molte terre che avevano in S. Secondo.

Il 9 marzo 1093 Adone fissò le " opere " settimanali da eseguirsi dai gastaldi del feudo di S. Secondo e tra i pagamenti si parla di manne di lino di " sestaria decem de vino et tercium de grano et quarium de….".

Gradualmente, il Capitolo dei Cànonici della Cattedrale venne a possedere l'intero territorio di San Secondo con signoria di mero e misto imperio, tanto da nominare un proprio Magistrato esercitante la giustizia col titolo di Podestà.

Pare che al secolo undecimo si debba riportare l'acquisto del territorio e Castello del Pizzo. Riferisce l'Affò (8) che Arrigo di Germania, disceso col suo esercito in Italia, svernò in diverse città, fermandosi, nel dicembre 1081, più giorni in Parma, dove, unitamente ai giudici imperiali, emise sentenze sulle controversie, fra cui una riguardante la terra del Pizzo, che gli venivano presentate. Poichè il Marchese Oberto Pallavicino aveva investito feudalmente i Canonici della Chiesa Maggiore di Parma della torre del Castello del Pizzo, col patto che non ne facessero mai cessione, nè la rimettessero in alcun tempo ai signori da Cornazzano, avversi al suo partito, costoro si opposero e malgrado l'imperiale sentenza, il litigio non ebbe termine. Alcuni anni dopo, com'era allora usanza, le parti si appellarono al Giudizio di Dio, e ne affidarono la decisione ad un duello.

Arnolfo da Fontanellato, campione pel Capitolo, ne riuscì vincitore ottenendo in premio possedimenti in San Secondo ed al Pizzo. Il Capitolo mantenne poi, pacificamente, il possesso di queste terre e ciò si rileva dalla nomina di un Podestà anche al Pizzo, come appare in un rogito del notaio Giacomo Cavalli del 16 giugno 1106.

Poche volte è nominata la terra di San Secondo nel secolo XII, malgrado le traversie cui la Chiesa dovette sottostare, sia per le vicissitudini con l'Impero per le Investiture, sia per gli scismi creatisi con le nomine degli antipapa Cadalo e Guido.

Il 25 aprile 1111 Enrico V riconferma al Capitolo possessi e diritti sul " Castrum de Palasone, de Pizzo et de Sancto Secundo cum omnibus eorum adiacentiis et pertinentiis atque familiis tam de castellanis quam de colonis ". Da notarsi la distinzione fra " castellani " che non potevano essere assoggettati ad alcun padrone che per diritto di feudo, ed i " coloni " che dovevano seguire la proprietà dei fondi cui appartenevano.

Il 25 febbraio 1145 Papa Eugenio III, con bolla Pontificia, confermava ai Canonici il privilegio, già concesso dal suo antecessore Papa Innocenzo II in data 7-11-1141, di prendere sotto la tutela della Santa Sede la Chiesa di Parma ed il suo Capitolo con ogni ecclesiastica proprietà, assoggettando quest'ultimo al censo di un bisante (9) d'oro da pagarsi ogni anno alla Camera Apostolica.

Il 3 marzo 1158 il Preposito alla chiesa parmense stipula, con Oberto di Opizzone del Pizzo, un contratto di affitto di un bosco posto in Pavararo in " pertinencia S.cti Secundi".

Il 23 di febbraio dell 160 il Conte Abate e Bernardo da Cavriago, giudice e podestà imperiali, sentenziarono a favore del Capitolo in una vertenza intorno ad alcuni beni posti in S. Secondo e nelle sue adiacenze.

Il 25 di luglio dello stesso anno due coppie di " eletti coniugi ", Allegro Lebbio e Seconda, Alberto ed Elberga, fecero donazione al Capitolo dei beni che possedevano in Vicopezzato e in S. Secondo.

Nel 1162 il prevosto Bandino presenzia una sentenza proferita il 24 di aprile a favore del Capitolo contro Ardicione, per una precaria di S. Secondo. Lo stesso prevosto Bandino fece molte locazioni ed investiture di terre al Pizzo ed a S. Secondo, a nome dei Canonici.

Il 25 di giugno 1170 Alberto e Sinibaldo, canonici e Massaj della Chiesa di Parma, fecero una locazione livellaria delle terre di S. Secondo con Alberto e Odone dei Madalberti, obbligandoli ad erigere un mulino lungo il Taro vivo in San Secondo, in luogo detto Vicopezzato, ed a pagare essi ed i loro eredi, ogni anno, due sestari di frumento e otto sestari di grano mezzano nella ricorrenza dell'Assunta, a condizione che, volendo essi od i loro eredi vendere il mulino, ne venissero preferiti i canonici.

Il 4 di aprile 1194 il prevosto Obizzo comprò da Giovanni, abate di San Giovanni Evangelista, due pezze di terra "aratoria, avidata e casamentiva " a S. Secondo, in luogo detto Ferraria, di " bifolche 4, staja 2, tav. 8, per 5 denari imperiali d'argento a rogito di Alberto Notaio ".

Nel 1195 Arrigo VI e Ottone IV nel 1210, riconfermarono ai Canonici privilegi e diritti sulla terra di S. Secondo.

Nel 1247 la genti di San Secondo, assieme ad altre di castelli vicini, si ribellarono al potere guelfo a favore dell'Impero riassoggettandosi poi al Comune di Parma nel 1266.

La signoria di mero e misto imperio del Capitolo dei Canonici di Parma sulla terra di San Secondo cessò nell'anno 1365 allorchè questi trovandosi aggravato di molti debiti tanto per parte dei procuratori delle decime, delle colette, dei sussidi del Papa e del Cardinal Legato di Lombardia, quanto per parte del Vescovo, e d'altre ingenti spese impreviste, e per altre giuste e legittime cause, ed essendo le rendite della sua mensa così scarse, che non riusciva ad accumulare alcuna somma, dietro matura deliberazione, vendette al " nobile milite " Giacomo Rossi figlio del q. Rolando, fratello di Ugolino Vescovo, tutti i diritti, azioni, e giurisdizioni di mero e misto imperio, che gli si competeva ne] castello, terra o villa di S. Secondo e del Pizzo, pel prezzo di lire dugento imperiali. I canonici, rappresentanti l'intero Capitolo, che effettuarono questa vendita furono: Antonio degli Aldigeri, Dionigi, Bernabò Piazzalunga da Genova e Pietro di Cruviaco.

In tal momento casa Rossi contava già diversi possedimenti in S. Secondo. Risulta che nel 1230 il famoso Bernardo di Rolando Rossi, (10) " fecit et constituit Jacobum coquum suum nuncium actoren ed procuratorem ad dandum quattour pecias terre sui juris positas in pertinentiis sancti Secundi ".

 

PERIODO FEUDALE

Prima di considerare, seppur brevemente, i vari feudatari si desidera tracciare un profilo della famiglia Rossi, che tanta importanza ebbe per San Secondo, dalle origini al momento in cui ne acquistò il feudo.

Della susseguente " Genealogia " si tratterà poi soffermandoci soltanto in ciò che ha attinenza con l'oggetto di questo studio.

Dal 1000 al 1300 i Rossi passarono ed andarono lontano, lungo la strada maestra della storia di Parma, col loro destino che sa di sangue e di ferro. La loro culla fu un castello qualsiasi, la loro tomba quasi sempre un campo di battaglia. Le lotte faziose, la forza bruta che piega ogni ragione, il fragore delle armi, la durezza di carattere, l'inganno, ogni più sottile malizia umana, sono le peculiari condizioni che conducono alla ribalta della nostra storia, unitamente a matrimoni ed a sempre varie alleanze, la famiglia dei Rossi.

La loro origine prima si perde nell'antemille, nelle longobardiche, carolinge e forse bizantine ere. La legge che professavano era l'italica, quindi il loro sorgere sembra un risveglio della nazionalità sulle conquiste straniere. Tempi duri si prospettano per loro: fin dall'inizio combattuti e stiracchiati fra l'Impero e il Papato, fra vicari, legati e subdoli tiranni. Furono a seconda guelfi e ghibellini o ambedue assieme: il loro stemma era un leone rampante: segno di forza e di ardire, pronto a lottare, a perdere con onore, a vincere anche con inganno, a seguire, quasi sempre, le sorti del più forte. Ma non vi era un forte che non ve ne fosse, a sua volta, altro che valesse più di lui. Come un imperatore si ritirava in Lamagna, in Boemia o in Francia lasciando loro investiture, cariche ed onori, bisognava subito, per conservare tali privilegi, combattere con signorie vicine avide, cruente, golose di questa parte della ricca Lombardia, ove passavano strade importantissime, ove, fra il fragore delle armi, sorgevano unitamente a meravigliosi battisteri e cattedrali, antipapi ed eresiarchi. I Rossi, oltre alle città di Parma e di Fidenza, possedevano, con alterne vicende, i castelli d'attorno: circa quaranta fra rocche e fortezze disseminate nei punti più delicati, più forti ed imprendibili. Torrioni ereditati dall'alto medioevo ed adattati sempre più armati, alle esigenze del momento. Alte e grosse mura che strapiombavano abbarbicandosi ai dirupi, che saettavano un'alta torre nel cielo da cui si stendeva ondeggiando un drappo con il leone dal ghigno crudele, larghi bastioni che si incastravano con tetre prigioni nella dura pietra, ricchi di caditoie, piombatoi e cinte. Mura a non finire: ad uno, a due, a tre, quattro cerchi e ad ogni cerchio una torre ed a ogni torre un ponte levatoio. Di volta in volta i Rossi furono o guerrieri o prelati. Non vi era dubbio di scelta: o divenire l'uno o l'altro. Solamente ciò serviva a sopravvivere, a mantenere un patrimonio, a trasmettere un'eredità. E quest'eredità era densa soprattutto di coraggio, di palvesi, di corazze, di cavalli, di crudeltà e di matrimoni prestigiosi. I Rossi potevano combattere a corpo a corpo con un imperatore, potevano trattare con un papa; il loro braccio era ricercato, il loro odio era temuto. Venezia, Firenze, gli Scaligeri, i Visconti se li contesero. Un papa si imparentò con loro per ben due volte, Venezia diede loro il patriziato, Firenze tributò loro il trionfo solenne, gli Scaligeri, i Visconti, i Correggesi ed i Gonzaga ne sposarono sorelle e figlie. I loro sessantaquattro vasti possedimenti terrieri si stendevano ovunque. Il destino della nostra terra dipendeva dalla loro volontà, dal loro capriccio e dalla loro fortuna.

Poche sono le storie d'amore che si svolsero fra le cupe mura dei manieri. Poco si sa delle loro donne, anche se erano Maddalena ed Agnese Fieschi sorelle di Innocenzo IV, anche se erano congiunte a case regnanti o figlie di nemici. I nomi delle Rossi erano quelli di moda: Vanina, Donella, Beatrice, Costanza, Caterina, Giovanna, Francesca; nomi che gravitano in una sfera di gentile femminilità. Tristemente famosa fra tutte è Ginetta Fieschi, sposata a Pietro de' Rossi, per rotte lascivie. La figliuolanza serviva e segnava indiscutibilmente le sorti della casa. Più era numerosa, più aumentava la potenza e la prosperità. Guglielmo Rossi ai primi del 1300, ebbe sei figlie e sposò Francesca ad un Pallavicino, Legarda ad un Lupi, Caterina a Ugucello da Canino e la sesta Beatrice a Paolo Aldigeri.

Quindi relazioni cospicue, aderenze in tante corti e parti d'Italia e così fra fazioni turbolente, fra gare stremanti di partiti, i Rossi riuscirono a destreggiarsi dal 1000 al 1300 tanto bene che, alla fine del periodo che consideriamo, si potevano fregiare dei titoli di Conti di San Secondo, di Berceto e di Corniglio. Tre castelli, tre punti di un triangolo che racchiudeva il corso di tre fiumi, le cime armate di cinque vallate congiungentesi in un vertice: S. Secondo, rocca guerrita e costellata di fortezze. La loro stona è affascinante come un racconto di gesta francesi, il loro valore ed i loro atti sono sempre esaltati: Pietro, combattendo Mastino della Scala, mentre rincorre con foga i nemici, viene mortalmente colpito da una lancia che gli si conficca fra le giunture della corazza. Novello Epaminonda, straccia il ferro dalla ferita e muore due giorni dopo. Il fratello Marsilio, affranto dal dolore, lo segue nella tomba. Le armi di Pietro vengono appese perpetuamente nella chiesa di San Marco in Venezia e la sua tenda militare viene conservata nell'arsenale. Bernardo e Rolando, combattendo strenuamente contro il Barbarossa, dopo di averlo sconfitto attorno alla città, armeggiando ancora nei pressi di Collecchio, vengono fatti prigionieri ed impiccati in mezzo al campo imperiale. Ugo il vecchio servì Ezzelino da Romano. Quasi tutti furono podestà di città e vicari di imperatori. Imperatori di Francia e di Lamagna, sia che scendessero o che salissero per la via romea (1) che portava a Roma, trovavano nei Rossi, asserragliati nei castelli vigilanti lungh'essa, o grandi amici o gran nemici che potevano essere di volta in volta: Rolando, Pietro, Sigifredo, Bernardo, Giacopo, Ugolino, Bertrando. Tutti guerrieri e tutti morti col ferro in pugno. Quindi con fortezze innumeri, con parentele invidiabili e possedimenti estesissimi, alla fine del trecento, casa Rossi predomina nel governo e nel destino di Parma e del contado. Passano in questi tre secoli, fragorose come torrenti, le loro generazioni, rompono le mura dei castelli nemici, le sbrecciano, le rifanno, le ricostruiscono sempre più forti; passano e vanno lontano lungo la strada maestra della storia col loro destino che sa di sangue e di ferro. Non importa se le merlature mutano e cambieranno bandiere. Queste rimangono prigioniere per poco degli altri pennoni, mentre il nome dei fondatori dei più forti conquistatori si impose e rimase legato nel tempo. E le rocche rimarranno sempre nella storia come i " castelli dei Rossi " giacchè la strada maestra del loro destino li portò molto lontano nella gloria.

 

 

GENEALOGIA DEI VARI FEUDATARI

I. - Giacomo Rossi – 1° Conte di San Secondo dal 1365 al 1396

Avendo Giacomo e Bertrando Rossi, figli di Rolando, prestato a più riprese fortissime somme al Capitolo della Cattedrale, tanto da raggiungere la somma di 1071 fiorini d'oro, e non ottenendone il rimborso entro il termine fissato, alienarono al medesimo la terra di San Secondo come da rogito del Notaio Alberto Malebranche, steso nella Cappella di S. Vicinio in Cattedrale, in data 8 aprile 1365, aiutati in questo acquisto dal favore dello zio, allora Vescovo di Parma, Ugolino Rossi il quale ne approvò il contratto. Il 2 gennaio 1367 in tal modo Giacomo Rossi, morto nel frattempo il fratello Bertrando, fu investito dell'autorità e nominato primo Conte di San Secondo e detta investitura fu approvata in corpo da Papa Bonifacio IX il 9 marzo 1391.

II. - Bertrando Rossi – 2° Conte di S. Secondo dal 1396 al 1404

Sebbene Giacomo Rossi avesse avuto due figli, l'investitura del feudo, per ragioni non note, passò nel 1396 al nipote Bertrando. Questi, per godere più tranquillamente il possesso di San Secondo, ottenne, ai primi del 1400 dal Vescovo Giovanni Rusconi, conferma dell'acquistato e nell'anno successivo, precisamente il 24 ottobre 1401, comprava, sempre dagli indebitati Canonici, il vicino feudo del Pizzo ad esclusione delle ville di San Quirico, Ronchetti, Corticeli e Castellaicardi le quali però, col tempo, passarono tutte sotto la signoria rossiana. Il Conte Bertrando fu uno dei personaggi più battaglieri e ricchi della Lombardia. A lui il Doge di Venezia Veniero concesse, nel 1384, il diploma conferente la nobiltà veneta in benemerenza dei servigi prestati e questo è attestato dalla raffigurazione del Leone della Serenissima in una parete del " Salone delle gesta rossiane ". Partecipò con onore alle estenuanti lotte intestine contro i Terzi. In una vicenda bellica, nel settembre del 1402, Otto Terzi riuscì, con 300 cavalli e 200 pedoni, ad avvicinarsi al castello di San Secondo e ad incendiarne la borgata.

Pietro Maria Rossi 3° Conte di San Secondo dal 1404 al 1440

Successe nel 1404 al padre Bertrando, Pietro Maria il quale, tre anni dopo l'investitura, dovette domare una rivolta interna scoppiata in seguito ai malumori dovuti alla gravezza delle imposte. I rivoltosi si asserragliarono nel castello resistendo alcuni mesi all'assedio postovi dal Conte e dalle sue genti d'arme. Chiesta la resa ottennero, facendo atto d'ubbidienza, il perdono del signore. Nel 1413 Pietro Maria andò, al seguito del Marchese Nicolò d'Este, a Gerusalemme e là, in segno di onoranza e distinzione, fu decorato del cingolo del Santo Sepolcro il quale, da allora, sempre ricorre nello stemma dei Rossi.

Ottenne su San Secondo investitura da parte dell'Imperatore Sigismondo e da parte di Filippo Maria Visconti di Milano il 17 novembre 1421. Si ritiene che il castello di San Secondo, dopo l'assedio subito, non sia stato più riattato, e lasciato in completo abbandono.

 

Pietro Maria II Rossi 4° Conte di San Secondo dal 1440 al 1482

Omonimo al padre, cui successe nel 1440, portò come lui il titolo di " Magnifico " e fu il fondatore della Rocca giacchè a lui si deve la erezione di tre castelli: Roccabianca, S. Secondo e Torrechiara. Tre castelli che sulla carta geografica sono allineati su di un'unica linea retta e che nella realtà custodivano gli amori più gelosi del munifico signore. Roccabianca e Torrechiara erano le abitazioni rispettivamente invernale ed estiva dell'amante Bianca Arluno, mentre in San Secondo abitava la moglie Antonia Torelli con numerosa prole (2).

Pietro Maria ebbe la dura tempra dei condottieri dell'epoca e persegui, lungo tutta la sua vita, un vasto sogno di dominio. Fu musico, letterato, intenditore di fortificazioni, feroce e gentile, duro e pietoso, fu vero figlio del suo tempo. Quando Pietro Maria divenne signore della Rocca di San Secondo, questa era mal ridotta, inadatta a qualsiasi possibilità difensiva, scomoda, indecorosa ed in netto contrasto con le sue aspirazioni.

La trasformò allora in convento cedendola ai frati di San Francesco, detti degli " Amadei ", i quali presero a servire la chiesa attigua contemporaneamente edificata e dedicata alla Beata Vergine delle Grazie, ed innalzò altro castello un miglio più ad ovest.

La nuova rocca risentì, nella struttura architettonica e nella disposizione interna delle sale per uso abitazione (ridotto), dello spirito guerresco che animava il feudatario.

Preparata a difesa, tenne testa agli assalti delle armi sforzesche, tanto da costringere Ludovico il Moro, del quale il Conte Rossi era caduto in disgrazia, a impiegar contro di essa le migliori milizie, i capitani più provetti, e le bombarde più micidiali (3).

Nel gennaio del 1482, Sforza Il, figlio naturale del Duca Francesco, nominato governatore generale di Parma, ebbe ordine di portarsi, quale luogotenente generale dell'esercito sforzesco, pel territorio della bassa, all'assedio di S. Secondo, assieme al nobile Gian Giacomo Trivulzio marchese di Vigevano.

Pietro Maria Rossi, nonostante l'età e la malferma salute, tenne testa all'infuriare delle artiglierie nemiche e, con arditissime sortite, obbligò a più riprese l'assediante a retrocedere oltre il greto del Taro e del Parola riuscendo a far prigionieri, il 21febbraio 1482, il calabrese Scaramuccia, Pier Paolo da Fabiano, il caposquadra da Scipione, e intere squadre di armigeri.

Rimasti a capo delle forze milanesi il Trivulzio ed il Bergamino decisero di assalire l'uno i castelli collocati nella zona montana e l'altro le rocche di pianura. Continuò Pietro Maria a difendersi con leonina vigoria; ma perduta Roccabianca, si ritirò a Torrechiara, ove cesserà di vivere l'anno stesso, lasciando alla difesa di S. Secondo il figlio Guido, di animo invitto, generoso e prode e, come lui, fedele sino alla morte ai Veneziani in odio a Milano ed ai Pallavicino, i nemici più implacabili di casa Rossi. Contro la rocca, il 18 agosto 1482 mosse un nuovo corpo di truppe, spedito da Guglielmo Marchese di Monferrato, sotto il comando di Tommaso conte di Saluzzo, seguito quattro giorni dopo da grosso stuolo di cavalieri, da 200 uomini d'arme, da 40 balestrieri e numerose bombarde agli ordini di Bonifacio da Monferrato.

Contro queste forze mosse ardimentosamente Guido Rossi e, attaccatele presso Castellaicardi, le pose in fuga costringendole a ripiegare sin oltre la via Emilia.

Ma, col concorso di nuove squadre, le milizie ducali riuscirono a stringere S. Secondo in un cerchio di fuoco, utilizzando cinque formidabili bombarde dell'arsenale milanese, e fu così che la tenace resistenza rossiana, pur sostenuta dalle forti mura della rocca e dal petto degli strenui suoi difensori, andò diminuendo col crescere d'intensità dell'attacco. L'esercito sforzesco, smaltite le acque dei fossi e del Taro morto, aveva allagata la campagna rendendo così difficili le sortite ed il tiro efficace delle bombarde era riuscito a spianare la prima cerchia dei bastioni ed i terrapieni, facendo breccia sulle cinte di difesa.

La morte falciava i prodi difensori che, ad ogni crollare di mura, cadevano a decine sepolti sotto le macerie. L'ansia della conquista, l'ebbrezza della vittoria, la lotta tra il cupo rumore delle bombarde, lo schioppettio delle spingarde e dei moschetti, il sibilo delle saette, il cozzare delle armi, ingagliardiva gli animi degli attaccanti, che, raccolti nuovi uomini e nuovi mezzi di distruzione, riunite scale, fascine, funi, travi, si preparavano a dar la scalata alla rocca.

Il lungo e stretto assedio, la perdita dei raccolti, la fame, la sete, i disagi d'una lotta senza tregua, l'incubo della morte, la certezza di una imminente rovina e la notizia dell'arrivo al campo sforzesco di altri 1600 colpi di bombarda, per smantellare quanto ancora rimasto in piedi fra tanta rovina, avevano fluito per influenzare sinistramente l'animo dei terrazzani e delle milizie rossiane, specie dopo la vana attesa di aiuti veneziani. Dopo un inutile tentativo di uscir di sorpresa dalla rocca, il 12 settembre 1482, quando guaste o scavalcate erano le artiglierie, esaurite le munizioni e la polvere per le bombarde, mancanti le saette, il piombo, i viveri, i foraggi, quando altro non rimaneva pei difensori che lo squallore, la fame e la certezza di prigionia o di morte, Guido ordinò che fosse innalzata bandiera bianca sul mastio della fortezza, e si portò al campo nemico per trattare la pace col marchese di Monferrato.

E pace fu pattuita il 12 ottobre 1482 alle seguenti condizioni: tolto l'assedio a S. Secondo e allontanato subito l'esercito attaccante; promessa, da parte di Guido Rossi, di ritornare coi suoi alla sudditanza della ducal casa Sforzesca, privandosi degli armigeri. dei mezzi di guerra, col diritto però di avere tutte le terre lasciategli dal padre; non dover più impugnare le armi nè passare al soldo dei nemici dello stato milanese; a garanzia dei patti stabiliti mandare in ostaggio alla corte milanese il figlio primogenito Filippo Maria, al quale, per altro, veniva promesso onorifico impiego e lauto stipendio.

Ma, aggravata dal Moro la residenza in Milano di Filippo Maria Rossi, tenuto quasi prigione in casa Borromeo, imposta sulle terre rossiane del parmense la tassa del sale e la leva dei cavalli, Guido Rossi ruppe apertamente i patti, inviando il figlio quindicenne Bernardo al campo veneziano, favorendo la fuga da Milano, per Bremida sull'Adda, del figlio Filippo, e raccogliendo milizie armate per prepararsi a nuova guerra.

S. Secondo, la terra battagliera che tante prove di fede aveva date a Casa Rossi, ospitò ancora il valoroso campione che, in compagnia del Provveditore veneziano, andò a rinchiudersi nel ridotto della rocca, dopo di aver agguerrito le. mura di alcune bombarde.

A tali notizie il Moro ordinò che un poderoso esercito avanzasse, a marcia forzata, con l'intento di conquistare la rocca e di avere nelle mani vivo o morto il suo temibile nemico. Mentre le milizie milanesi convergevano verso le terre della bassa parmense, Guido Rossi, coi figli, col fratello Jacopo e col Provveditore veneziano, postosi alla testa di mille cavalieri, si portava improvvisamente nel piacentino, per la via del Vernasca, sostando alla Bettola.

Inseguito dal Moro in persona, che aveva con sè il figlio Ascanio, minacciato dalle centurie di Obbietto Fieschi e di Renato Trivulzio, tradito dal Nicelli, Guido Rossi passò nel Genovesato. Lì si unì ad Agostino Campofregoso e si aggregò all'esercito veneziano.

Il Moro, dopo di aver assediato Felino, Torrechiara e Basilicanova, si portò, il 13 giugno del 1483, sotto le mura della rocca di S. Secondo che si arrese la sera del 17 dello stesso mese.

 

Giovanni il Diseredato 5° Conte di San Secondo dal 1482 al 1502

Pietro Maria nel testamento del 1464 scoprì, senza pudore alcuno, le miserie della famiglia, gli insulti, gli odi, i favoritismi verso l'amante ed i bastardi per giustificarsi d'avere diseredato il primogenito Giovanni. Costui, esule e povero, si attaccò alle fortune francesi tanto che, per i servigi militari resi e non avendo mai rinunciato ai suoi diritti di primogenitura essendosi sempre opposto legalmente al testamento paterno, assai vecchio, riebbe nel 1493 da Giacomo Trivulzio, generale di Luigi XII, (4) il feudo di San Secondo.

Sposò Angela Scotta, erede unica di un gran nome e di una ingente ricchezza, il che contribuì a risollevare le sorti della casata.

Decedette nella rocca nel 1502.

Troilo Rossi 6° Conte e 1° Marchese di San Secondo dal 1502 al 1521

Primogenito di Giovanni Rossi militò coi francesi nella conquista del Ducato di Milano e, come ricompensa, non solo riebbe il feudo di San Secondo, ma questo fu elevato dal Re Ludovico XII, a compenso degli altri feudi perduti, al grado, dignità e titolo di marchesato. Sposò la contessa Bianca Riario, nipote di Sisto IV e figlia di Girolamo Signore di Imola, entrando così, con tale parentela, nel gioco della grande politica italiana.

Restaurò il castello rialzando bastioni e torri che, negli assedi degli anni precedenti, erano stati abbattuti e ne ampliò il recinto. Internamente fece adornare ad affreschi diverse stanze del quartiere di mezzogiorno.

Morì ancor giovane lasciando diversi figli in tenera età e fu gran ventura, per loro, che fratellastro di Bianca fosse Giovanni detto dalle Bande Nere il quale accorse a San Secondo per difenderli dai tanti nemici, senza scrupoli, che li circondavano e specialmente dal vescovo di Treviso Bernardo Rossi. A S. Secondo Giovanni dalle Bande Nere volle essere portato ferito dopo la battaglia di Pavia e, morendo di poi a Mantova, pregò Clemente VII di affidare le sue milizie al figlio di Troilo.

Giangirolamo Rossi nipote del Medici, scrivendone la vita, così racconta: . . . Jeronimo Corso gli disse: " Signore tu sei povero e non hai niente, che non tieni questi luoghi (S. Secondo) per te, mandando tua sorella a casa sua? " Al che egli rispose " che non si parlasse mai più di simili cose, per quanto aveva cara la vita, perchè stimava più la sorella con i suoi nipoti, che quanti erano al mondo ". Per questa risposta, consona alla nobiltà degli atti, il ritratto di Giovanni dalle Bande Nere è effigiato nella " Sala di Adone " unitamente agli altri benefattori di casa Rossi.

 

Pietro Maria III – 7° Conte e 2° Marchese di San Secondo dal 1521 al 1547

Fu allevato quale paggio alla corte del Re di Francia e quando gli morì il padre si licenziò dal Re che gli donò una spada con il proprio ritratto, tempestata di gioie di gran valore. Tornato a San Secondo, dovette subito difendersi dalle insidie di potenti nemici.

Nel 1523 sposò, continuando così la serie dei grandi e felici matrimoni politici, Camilla Gonzaga. In tal modo scrisse sulla festa nuziale il Pochettino: (5)

Nel 1523, nel castello di S. Secondo, furono lunghi mesi di feste, dal primo rom per di primavera.

Durante i preparativi, pei quali il castello subì notevoli miglioramenti, per le belle camere di recente adornate dal munifico buon gusto di Troilo Rossi, la vedova di lui Bianca Riario, si aggirava con insolita attività per assicurarsi che la fastosità elegante dei mobili e degli arredameti fosse tale che il casato dei Rossi non avesse a scapitare al confronto del fasto degli altri casati che avrebbero partecipato alle feste.

Lucevano qua e là i mobili che lo suocero di lei, Giovanni, era riuscito a mettere insieme nel parziale ricupero dei beni aviti col favore del re di Francia e Duca del Milanese Luigi XII.

Ma più ricca e più bella splendeva la supellettile che dalla propria casa degli Scotti aveva portata a Giovanni la moglie Angela, che, unica erede della sua ricca famiglia, aveva recato al marito una dote di nove mila scudi d'argento oltre gli aviti arredi.

Passava Bianca Riario, giovane, e bella ancora nel suo profilo delicato e puro, che gli anni e i dolori recenti avevan lasciato quale era stato tracciato qualche lustro prima nella bella medaglia delle tre Grazie.

E venner da Parma le migliori famiglie legate ai Rossi di amicizia e parentele: e ne venner da vari luoghi del Parmigiano, del Piacentino, e d'oltre Po e d'oltre Enza: cavalieri e dame con il seguito di scudieri e famigli, e damigelle e paggi; e vennero anche prelati da Roma e guerrieri famosi dai campi della guerra.

Non ostante che fosse periodo di lotta (durava infatti la prima guerra tra Carlo V e Francesco I pel Milanese), poichè ormai il turbine più grave di esso, dopo le sconfitte del Lautrec e del Lescun, s'era portato oltre il Ticino, si potè pensare ad andare in lungo corteggio di dame e di cavalieri incontro agli sposi, che venivano da Mantova e dovevan passare il Po presso Casalmaggiore. Folle di curiosi e di plaudenti lungo il percorso dal Po a S. Secondo accrebbero la grandiosità del corteggio nuziale già così splendido.

L'entrata del corteo in S. Secondo fu veramente superba e magnifica: ma gli sguardi di tutti non si stancavano di contemplare la giovane coppia degli sposi.

Camilla Gonzaga, figlia di Giovanni e nipote di Francesco duca di Mantova, era veramente un fiore magnifico. Di grande, singolare bellezza, di maestà meravigliosa nella persona, aveva negli occhi luminosi e lampeggianti il sorriso perenne della bontà e della tenerezza, quel sorriso che seppe poi riprodurre così bene il Parmigianino qualche anno dopo nel noto ritratto di lei.

E a fianco di lei cavalcava su un magnifico destriero, che quasi scompariva sotto la ricca gualdrappa fiorata e blasonata, Pier Maria.

Tutto il castello era in giocondo rumore di festa: continui sonavan gli evviva agli sposi, i mormorii di ammirazione per la loro diversa bellezza. Quando il corteo nuziale entrò nel cortiletto d'onore, chiuso dall'elegante porticato di puro rinascimento e tutto frescato a vivaci colori, dal parapetto del loggiato sovrastante, dame e cavalieri affacciati in un'orgia magnifica di luce e di colori, lanciarono sopra gli sposi delle vere nubi di fiori.

Balenando sorrisi, la giovane coppia salì per lo scalone centrale, sotto i riquadri cinquecenteschi della volta, al primo piano, nel Salone magnifico. Qui Bianca Riario abbracciò la sposa e il figlio con maestosa dignità, ma un molle tremolio di pianto era nei suoi occhi materni, in cui c'era anche la speranza che un nuovo ordine di glorie cominciasse per la sua grande casata.

Pietro Maria nel 1525 fece parte delle " Bande Nere ", si trovò al sacco di Roma nel 1527, fu presente all'assedio di Firenze nel 1529, prese parte al fatto di Gavinana, seguì Carlo V nell'impresa di Tunisi e di Provenza nel 1536 e nel 1537 aiutò i Veneziani nella loro guerra contro i Turchi. Urtatosi col papa Paolo III si ritirò in San Secondo rifiutandosi di prestare giuramento di fedeltà a Pier Luigi Farnese e vi morì il 10 agosto del 1547.

Scrissero di lui che era " d'aspetto di volto veramente eroico con meravigliosa vivacità d'occhi cò capelli e colla barba bionda. Fu grande di statura e di fermezza di membra gagliarda atta a portare e maneggiare armi ". Tale lo effigiò in una medaglia il Litta a semibusto nel ritto con corazza e grossa collana al collo, mentre nel recto armato cerca di afferrare la volubile fortuna. Lo circonda il motto " aut te capiam aut moriar ": o ti prenderò o morirò. E' pure raffigurato nel " Salone delle gesta " piegato innanzi a Francesco I in atto di ricevere il collare di S. Michele e bello, imperioso e sognante lo ritrasse anche il Parmigianino. La tela, unitamente a quella della moglie Gonzaga, trovarsi ora al museo del Prado in Madrid. (6)

 

Troilo II 8° Conte e 3° Marchese di San Secondo dal 1547 al 1591

Fu uno dei più splendidi cavalieri del suo tempo. Venne nominato Grande di Spagna, patrizio veneto ed ereditò dal padre il grado di comandante delle fanterie italiane al servizio della Francia. Sposò la nobile Eleonora d'Uguccione Rangoni di Modena. Avverso ai Farnesi, si unì alle truppe di Papa Giulio III e si trovò all'assedio del forte di Mirandola. Conclusasi la pace nel 1552, il suo casato venne espressamente contemplato nel trattato, onde essere garantito dalle vendette dei Farnesi.

Il Rossi però non poteva sfuggire all'occhio pauroso del Duca Ottavio Farnese. Per cercare di ottenere da esso atto di sottomissione il Duca gli inviava, il 13 gennaio 1556, una lettera, per mano di un contadino, intimandogli di recarsi alla sua presenza, onde dichiararsi vassallo e giurargli fedeltà. Ad un netto rifiuto del Rossi il Duca rinnovava l'intimazione mediante un Monitorio " fatto affiggere nella Borgata di San Secondo, nella prima settimana del successivo mese di febbraio. Entro il termine di sette giorni il Marchese doveva rendere il richiesto omaggio. Recatosi in persona Troilo Il dov'era esposto il succitato " Monitore ", lesse: " che il Conte di San Secondo aveva giurato fedeltà nelle mani di Papa Giulio del Monte (Giulio III); e perciò essere a lui debitore come sovrano di Parma del giuramento dovutogli, con minaccia di obbligarlo alla forza ". Per tutta risposta fece attaccare ad un pilastro, posto nella contrada maestra di San Michele in Parma, uno scritto dichiarante: " essere vero di aver giurato fedeltà al Papa Giulio del Monte, il quale lo aveva lasciato libero interamente e pienamente, e se vi fosse ancora gli renderebbe di nuovo obbedienza. Ma asseriva in pari tempo di non conoscere nè Papa Paolo IV della casa Caraffa, nè duca Ottavio Farnese, nè padrone e sovrano ". Avuta notizia di questa risposta, il Duca ne spediva copia a Roma, onde rendere nota la ribellione di Troilo.

Quando il Duca Ottavio, il 26 ottobre dello stesso anno, si recò a Piacenza per riprendere possesso della città restituitagli dall'Imperatore, inviò al marchese un simulato cortese invito, convocandolo a Piacenza stessa, ond'essere testimonio della solennità dell'avvenimento. Il Cardinale di Trento, esecutore per detto atto degli ordini imperiali, assunse lui stesso il compito di presentare al Duca il marchese Troilo, e contro l'aspettativa di ognuno, ne ricevette un garbato consenso. Il 20 dicembre dell'anno stesso il Farnese fece gentilmente invitare il Rossi a corte, e lì gli presentò una lettera del Re di Spagna Filippo II, colla quale gli si ordinava, " di consegnare al Farnese San Secondo affinchè ne disponesse a suo piacere". Ipso fatto, il Duca, mentre il Rossi trattenevasi in Parma a protestare, mandava colà, suoi ingegneri, i quali sopraintesero alla demolizione di tutte le fortificazioni. Per mano dei guastatori si abbatterono le cinte e furono rasi al suolo i due baluardi che difendevano la rocca, ed in pari tempo furono colmate di terra le fosse che ne cingevano le mura (7).

Trascorsi diversi anni Troilo II mandò truppe a Cosimo Medici, figlio di Giovanni detto dalle Bande Nere, onde aiutarlo nell'impresa di Siena, accompagnandolo poi, nel 1570, a Roma alla presenza del Pontefice Pio V quando ricevette il titolo di Granduca di Toscana.

Allargò in S. Secondo la borgata e la chiuse con porte a nord ed a sud, una detta " di Parma " e l'altra " dei Capuccini fregiandole dello stemma della Casa in rilievo. Adornò internamente alcune stanze del castello con dipinti e stucchi (8). Presso la porta maggiore della rocca nel 1550 fece costruire un oratorio intitolato a " San Catterina ". Internamente vi erano tribune a filo muro che comunicavano direttamente con gli appartamenti ed un solo altare con la pala raffigurante la titolare. Troilo li morì il 31 gennaio 1591 e fu sepolto nell'oratorio stesso da lui fatto erigere e per sua disposizione testamentaria venne inumato vicino alla consorte premortagli. In memoria di questa aveva fatto collocare una cospicua lapide in marmo, in una delle pareti a ponente, ove si leggeva la seguente iscrizione:

  

D. O. M. Eleonorae Rangonia immatura morte praerepta

ut qui unanimes vixere

eourum corpora feliciorem animorum reditum expectantia

simul etiam quiescunt monumentum in hoc Sacello

Troilus 110 Rubeus comes XIX

benemerenti ac sibi ponere curavit

vixit anno XXXIII menses XI dies XI

maximum sui desiderium Marito ac Petro Mariae

filio maestissimis relinquens

obiit anno ab orbe redempto MDLXIX

III idus Januarii.

 

Il qual epitaffio era il più distinto che si osservava fra gli altri, di minor mole, esistenti nel detto Oratorio di Santa Caterina.

 

Troilo III – 9° Conte e 4° Marchese di San Secondo dal 1591 al 1593

Essendo a Troilo II premorto il figlio primogenito Pietro Maria, gli successe il nipote Troilo III nato nel 1574. Questi combattè coi Savoia contro i Francesi, infrangendo così la lunga alleanza che i Rossi avevano avuto con essi.

Morì giovanissimo a soli 19 anni in San Secondo e fu sepolto pur esso nell'oratorio di Santa Caterina.

 

Federico I – 10° Conte e 5° Marchese di San Secondo dal 1593 al 1632

Successe al fratello in giovane età e si distinse, per nobiltà d'animo e per virtù guerriere, nella guerra di Savoia del 1614, militando agli ordini di Don Pietro di Toledo. Portò nella Rocca di San Secondo a compimento le opere d'arte, che ancor si notano, suggellando così la fine dell'età aurea della sua casa. Nel 1610 fondò a nord della borgata il convento dei Cappuccini, per secondare il desiderio del fratello Ippolito militante nello stesso ordine. La chiesa del convento, dedicata a S. Maria della Neve, aveva una sola navata con ai lati sei cappelle. I cappuccini furono soppressi, a seconda della nota legge napoleonica, nel 1810.

Federico I cessò di vivere nel 1632. (9)

 

Troilo IV – 11° Conte e 6° Marchese di San Secondo dal 1632 al 1635

Nacque in San Secondo il 30 novembre del 1597. Nel 1624 fu inviato da Odoardo Farnese, quale ambasciatore, al Pontefice Urbano VIII Barbarini per prestare alla Santa Sede, in nome de] sovrano, giuramento di vassallaggio e fedeltà. Partecipò col genitore alla guerra di Savoia e, per l'attaccamento prestato alla Spagna durante la guerra scoppiata nel 1633 con i francesi, fu decorato del Toson d'oro. Casa Farnese, avversa alla Spagna, confiscò per vendetta il feudo dei Rossi di San Secondo e questa confisca durò due decenni. Le gravi ferite che Troilo riportò nei combattimenti cui partecipò 10 costrinsero a ritirarsi in Milano, ove mori nel 1635.

Per voto fatto, essendo rimasta la terra di S. Secondo immune dal colera che nel 1630 imperversò nella Lombardia, gli abitanti costruirono, nel 1634, un oratorio sotto il titolo della visitazione di M. Vergine unitamente ad un ospedale.

Pietro Maria IV – 12° Conte e 7° Marchese di San Secondo dal 1635 a' 1653

Non avendo Troilo IV lasciato alcun erede maschile, gli successe il fratello Pietro Maria nato nel 1598 in San Secondo. Rimasto questi fedele alla Spagna, casa Farnese mantenne la confisca sul feudo per cui non potè mai porre piede nei possedimenti aviti.

Morì nel 1653 nel castello di Farlengo nel cremonese (10).

In questo interregno feudale San Secondo era governato da podestà nominati dalla camera ducale. I beni prediali del feudo si aggiravano allora a circa 3000 biolche di cui 60 formavano il parco attorno al castello (11).

 

Scipione I – 13° Conte e 8° Marchese di San Secondo dal 1653 al 1680

Scipione Rossi seguì, nell'investitura feudale, i fratelli Troilo e Pietro Maria. Con grave onere finanziario riuscì a riscattare il feudo ai Farnesi, aiutato in questo anche dalla Spagna, sottoponendosi però al giuramento di fedeltà al Sovrano secondo i precisi termini delle antiche investiture. Nel 1657, col permesso dei Farnesi, servì la corte di Spagna nella guerra di Lombardia. Nel 1680 rinunciò, al primogenito, ogni diritto e si ritirò a dimorare a Venezia. Morì a Farlengo nel 1715 e la sua salma fu trasportata nell'oratorio di Santa Caterina.

Ebbe inizio con Scipione il decadimento, morale e materiale, della casata, il cui patrimonio, dilaniato da debiti verso la Camera Ducale e da strozzini, andò sempre più diminuendo.

Per dare un'idea di come, in quest'epoca, veniva retta la terra di S. Secondo si riportano, quale curiosità, le seguenti notizie.

Tosto che il Marchese Scipione I Rossi venne riammesso nel possedimento reale del feudo, si diede premura di mettere pure in suo nome l'esercizio della feudale giurisdizione. E perciò nominò nello stesso anno 1653 il suo Podestà nella persona del Dottor Ranuccio Bonini, nobile Piacentino, al quale, nell'anno seguente, succedeva come uditore il Dott. Achille Platoni di Borgotaro, che durò in carica fino all'anno 1661. Veniva poi, con denominazione di uditore generale, un Onofrio Strinato, di Bardi, a cui, nel 1665, subentrava un Pietro Francesco Gabbiati, e nel 1697, un Alessandro Volpini. Dai documenti municipali non appare che altri, fuori dei soprannominati, esercitassero in San Secondo la feudale magistratura.

L'ufficio di tale carica era subordinato alla debita dipendenza dal governo Ducale di Parma. Infatti nelle frequenti grida pubblicate dai podestà di San Secondo, sovente è richiamata l'osservanza dello Statuto della Città di Parma, segnatamente in certe disposizioni penali, e nelle grida medesime è prescritta l'obbedienza alle leggi generali dello Stato, non potendosi derogare in tutto quello che si riferiva all'alto dominio e giurisdizione del Sovrano di Parma.

 

Federico II – 14° Conte e 9° Marchese di San Secondo dal 1680 al 1754

Primogenito di Scipione, successe al padre ed è il feudatario che più a lungo tenne la signoria di San Secondo. Partecipò alla guerra di Successione di Spagna e c6mbattè col Principe Eugenio di Savoia contro la Francia. Iniziò, senza poterlo condurre a termine, un grandioso e principesco appartamento prospicente il vasto piazzale posto innanzi alla rocca.

Fu bene accetto ai Farnesi e terminò i suoi giorni in San Secondo, ove venne sepolto nell'oratorio del castello.

Nel 1713 venne eretto nel borgo un pio Reclusorio di Religiose Clarisse.

 

Pietro Maria V – 15° Conte e 10° Marchese di San Secondo dal 1754 al 1754

Primogenito di Federico II morì pochi giorni dopo il padre, lasciando il potere feudale nelle mani del figlio.

 

Scipione II – 16° Conte e 11° Marchese di San Secondo dal 1754 al 1802

Sebbene, ai suoi tempi, fosse uno dei gentiluomini più qualificati, ottenendo titoli e cariche onorifiche sia dalla Spagna che dall'Allemagna, allo scoppio della Rivoluzione francese e conseguente invasione dell'Italia, fuggì innanzi alle armi rivoluzionarie, nonostante fosse sollecitato dal Duca Ferdinando di reclutare un reggimento e di portarsi a combattere i nemici. Timor d'animo gli fece rifiutare l'invito, non memore delle grandezze avite e si rifugiò a Venezia ove, nel 1802, cessò di vivere senza lasciare discendenza alcuna. La figura di Scipione II la si può immaginare simile a quella del Conte di Fratta: ultimi eredi di grandi famiglie sulle quali si abbattè implacabile l'evolversi dei tempi e l'illanguidirsi delle nobili forze. I beni prediali del feudo, in un solo secolo, si erano ridotti alla metà: da tremila le biolche di terra si erano portate a millecinquecentocinquantaquattro (12).

 

Gian Girolamo di Troilo Rossi 17° Conte e 12° Marchese di S. Secondo dal 1802 al 1817

 

A Scipione II seguì il nipote Gian Girolamo, nato nel 1735. Passata la bufera napoleonica, ritornò in possesso di ogni prerogativa feudale. Soggiornò pochissimo in San Secondo e passò la maggior parte della sua vita a Padova.

Alla sua morte, avvenuta nel 1817, lasciò usufruttuario della rocca il fratello Guido ed erede, di ogni bene, il Conte Vaini Ferdinando, figlio adottivo di Ferdinando Rossi.

Guido Rossi cessò di vivere nel 1825 senza lasciare discendenza alcuna estinguendosi perciò, con esso, il nobile casato.

 

 

PERIODO POSTFEUDALE

 

L'imperatore di Francia e Re d'Italia Napoleone I, in seguito alla morte, avvenuta nel 1802, del Duca Don Ferdinando, fece governare gli stati parmensi da un Consigliere di Stato, aggregandoli poi, nel 1808, all'Impero francese. Applicando, perciò, ad essi la propria legislazione cessarono, di fatto, tutte le prerogative feudali. I feudatari erano ridotti a condizione di privati cittadini, salvo il lustro della nobiltà e delle ricchezze avite. La legge franca disponeva che cadessero in proprietà del Comune le torri principali sovrastanti le rocche o i castelli. Così avvenne a S. Secondo ed il mastio servì, munito di una campana, a mantenere l'ordine interno della pubblica cosa.

Dal Conte Vaini il castello passò al cugino Cav. Minghelli Giovanni, dai cui eredi l'Amministrazione comunale l'acquistò nel 1916 e vi pose la propria sede.

 



PARTE SECONDA

 

 

CRONOLOGIA E REPERTI DELLE VARIE FASI

COSTRUTTIVE E DEMOLITRICI DEL CASTELLO

 

Del magnifico e splendido castello non ne rimane che una ben misera parte, giacchè il rimanente fu distrutto dall'ingiuria del tempo e dalla noncuranza degli uomini. Quel che resta, conserva fortunatamente, quale scrigno prezioso, belle sale affrescate e stuccate in discreto stato di conservazione, del 1500, 1600 e 1700.

Questa rocca, sorta inizialmente quale fortilizio, andò col tempo sempre più sviluppandosi, raggiungendo il suo massimo splendore verso i primi del 1800, decadendo poi rapidamente tanto da ridursi, in pochi decenni, alla triste condizione attuale.

Le memorie che la riguardano sono pochissime e la sua cronologia costruttiva si può dedurre esclusivamente con la fantasia seguendo tracce più o meno fedeli.

Divideremo in sette reparti l'evolversi della rocca dalle origini ai nostri giorni

 

I reperto - Dipinto del Bembo a Torrechiara.

 

Del castello o fortilizio primo, fondato da Pietro Maria Rossi dopo il 1460, risulta una felice visione negli interessanti affreschi dipinti dal Bembo nella " Camera d'oro " del castello di Torrechiara (1). Scrisse il Rustici che era " grande e magnifico con tutte le mura da basso alla cima, grosso di ventiquattro piedi, massiccio con quattro baluardi, difesi dalle sue mezze lune, con un mastio nel mezzo, grosso trentasei piedi ".

Era indubbiamente una costruzione ciclopica in cotto, quasi piramidale, dia architettura militare cara al fondatore, con ponti levatoi, doppia cinta di mura, largo fossato, quattro torri agli angoli e duna centrale: il mastio. Oltre il fossato una seconda cinta di mura merlate circoscriveva a rettangolo il pretorio e le case dei sudditi. La linearità di questo abbraccio ai vassalli, di questo affettuoso atto protettore si sviluppava in strade porticate poste orizzontali e verticali, quasi in esse si riproducesse in " sedicesimo " il " castrum " romano.

Così fortificati, rocca e paese riuscirono a tenere testa per ben due volte nel 1482 e 1483, alle truppe agguerritissime di Ludovico il Moro.

La prima cinta di mura del castello fu abbattuta durante questi assedi, nè fu più ricostruita.

II reperto - Raffigurazione del castello in una pergamena del 1460 esistente all'Archivio di Stato.

 

Nella " Pianta della città di Parma e suo territorio ", disegnata verso l'anno 1460, restaurata da Alessandro Sansevenno e dedicata a Moreau de Saint Merj, appare ben chiaro il castello di " Sà Segonto ".

Risulta abbastanza fedele alla realtà ed a quello che si può vedere ancor oggi. Una cinta rettangolare completa di mura, baluardi, una larga fossa alimentata dal Taro, quattro torri quadrate agli angoli ed il dongione centrale costituivano la rocca. Di quest'epoca non rimangono ora che tracce nell'alto mastio, un avancorpo a merli ghibellini, un cammino di ronda a merli guelfi e resti di finestre in stile sforzesco.

Ben evidente si rivela il ponte levatoio aperto, inserito in Lina torre.

A non molta distanza, si notano i castelli di Fontanellato, Soragna e Castellina.

 

III Reperto - Descrizione della provincia parmense del 1551.

Nella " Genuina descriptio totius ditionis parmensis AN. M-D-LI " (descrizione della provincia parmense del 1551) il castello di " S. SECUNDO " risulta, in modo schematico, formato da cinque torri di cui quattro basse poste agli apici ed una centrale dominante il tutto.

 

IV reperto - " Pianta Prospettica " del 1572.

La " Pianta prospettica " di Parma, esistente nella Biblioteca Palatina e che il Benassi (2) ritenne di poco anteriore al 1572, e perciò un secolo posteriore al secondo reperto, rappresenta la stessa fabbrica già descritta; però le torri sono senza merlatura ed al lato nord è aggiunto il " Salone " in cui sono affrescate le Gesta rossiane ". Mancano le torri minori ed il ponte levatoio. Fra Pietro Maria Rossi e Troilo II, cioè fra il dipinto del Bembo e la " Pianta prospettica ", vi è una notevole semplificazione nelle fortificazioni esterne che, abbattute, non furono più rifatte.

E' visibile il sensibile cambiamento cui il castello, seguendo i tempi, sottostava trasformandosi in palazzo. Il periodo più fulgido sta per iniziare e volgerà dal 1502 al 1591 con Troilo I, Pietro Maria II e Troilo II.

A questi Conti, specie a Troilo I e Troilo II, si deve la serie dei bellissimi dipinti cinquecenteschi: la rude vecchia rocca sta divenendo una ricca dimora rinascimentale ove il fiero feudatario si affranca sempre più verso la natura e la luce, divenendo gentiluomo, onorato uomo d'arme e protettore delle arti.

Nello stesso momento, e precisamente nel 1564, Cristoforo della Torre nella sua " Descriptio omnium Civitatis et Diocesis parmensis " scrisse:

Castrum S. Secundi, ita mirabiliter munitum, ut nec simile apud nos reperitur " (3).

 

V Reperto - Affresco nella biblioteca del Convento di San Giovanni in Parma.

Nel bel mezzo di una parete della biblioteca di San Giovanni Evangelista, vi è la raffigurazione prospettica del parmense e del piacentino, stesa ad affresco dai pittori bolognesi Ercole Pio e Gian Antonio Paganino, nel 1575.

Purtroppo ov’era la rappresentazione di S. Secondo vi è una sbrecciatura ed a malapena si legge " Secondo ".

 



VI reperto - Pianta della rocca nelle Carte Rossi.

Nella sparuta raccolta delle carte Rossi esistente nell'Archivio di Stato, vi è inserita una pianta, in scala e senza data, raffigurante il solo piano terreno della rocca ove si notano le modifiche apportatele nel sec. XVII da Scipione I e Federico Il. Questa era allora così composta: dalla piazza antistante, dopo il ponte levatoio si entrava in un lungo corridoio attraversando una apertura di stile sforzesco, che ancora rimane con le tracce delle insenature atte ad accogliere ]e tavole ferrate. Nel lato destro di esso vi era l'oratorio del castello intitolato a Santa Caterina, protettrice dello stesso, eretto verso la metà del XVI secolo e di cui ora non ne rimane traccia alcuna. L'androne sfociava in un grande cortile, cinto per tre lati, da porticati sorreggenti gran numero di stanze.

Il quarto lato conteneva la parte rustica e le scuderie. Di tutto questo quadrato rimane ora solamente la parte volta a nord formata da un porticato di otto archi in muratura, con decorazioni ad affresco raffiguranti un pergolato, e da un loggiato sovrastante. Nel cornicione che lo ricopre, rimangono tracce di decorazioni cinquecentesche. Nel mezzo del colonnato un portone dava accesso ad un cortiletto interno detto della " Ghiacciaia ", e al " Cortile d'onore ", esistente ancor oggi, da cui salendo lo " Scalone d'onore ", si accede al piano nobile. Scipione I aveva iniziato i lavori per un nuovo grandioso appartamento prospiciente la piazza, ma non arrivò che a costruirne lo scheletro ed ad ultimare probabilmente alcune camere. Tracce della grandiosità ed eleganza di queste si notano, a sinistra di chi guarda il mastio, in alcune mensole a stucco che si stagliano ancora, esposte alle intemperie, abbarbicate alla scrostate mura.

Secondo Minghelli-Vaini, così lasciò scritto nei suoi " Cenni attorno al castello " vi era una stanza, dedicata a Napoleone I, con episodi che ne narravano le battaglie, affrescati dallo Scaramuzza.

 

 VII Reperto - Due sbiadite fotografie.

 Esisteva, sino a non molto tempo fa, in una sala comunale una fotografia, risalente alla metà del secolo scorso, raffigurante la facciata della Rocca prima delle demolizioni. Si notavano due torri laterali ed una centrale: il torrione tuttora in piedi. Altra fotografia coeva, del prospetto del castello, appare in un Album di rocche antiche " databile al 1880 circa, ripresa da Guido Casali con studio in Parma - Strada S. Michele, 81. Verso la fine dell'800 gran parte del castello fu distrutto fuorchè il lato nord-est, il mastio, la porta e la. posterla. Per congiungere le parti rimaste isolate, al resto, venne costruito un muro con una falsa architettura quattrocentesca a merlatura. Nel vecchio cortile, fra affioranti vestigia, fu creato un giardino. Nel 1883 furono demolite le tetre prigioni e chiuso il sotterraneo che portava, seguendo il paese, fuori dal castello e che probabilmente servì nel 1472 a Pietro Maria quando, per sfuggire all'assalto sforzesco, ammalato ed avvilito, si fece portare in lettiga, poco prima di morire, al castello di Torrechiara.

Scavi eseguiti quarant'anni orsono presso l'imbocco di questa galleria, posto sotto il mastio, portarono al rinvenimento di armi, monete, tazze, piatti di fattura squisita, ossa di guerrieri e di cavalli.

Il Maggiore Eugenio Massa (4) scrisse che " attorno alla rocca corre un muraglione racchiudente un grandioso parco estendentesi per 60 biolche ", ma ora di questo meraviglioso e grandioso bosco non v'è più traccia alcuna.

Si ricorderà a questo proposito quanto cantò un poeta, in un'ode in onore della Duchessa Maria Amalia, verso la fine del 1700, allorchè questa vi si recò a cacciare:

"Non di faretra e d'arco

ma d'un fucil d'argento

armata un dì nel parco l'atteser cento,

e cento nel pingue suoi fecondo

cui nome diè Secondo " (5).

Un'ultima fossa fu colmata nel 1917, chiudendo così le tre arcate in muratura che, al posto del ponte levatoio, davano accesso alla rocca.

Da questa data il castello non subisce più alcuna menomazione: si è cercato invece di ben conservare e restaurare il rimasto.

 

NOTE

Capitolo I

(1) In copezzato la vita si svolse sin dai primordi. Vedere: PIGORINI LUIGI Necropoli dell’età del bronzo in Copezzato" - Bollettino dl Paleontologia Italiana –Parma 1890 – XIV n. 1-2.

Capitolo II

(1) B. ANGELI - La Historia della città di Parma et la Descrittione del Fiume Parma - Parma 1591.

Capitolo III

(2) AFFO' IRENEO - Storia della città di Parma - Parma, Stamperia Carmignani 1792, voi. I, n. xxxiv dell'appendice.

(3) Per maggiori notizie su Vidiboldo vedere: ALLODI GIOVANNI M. - Serie cronologica dei vescovi di Parma - Firenze 1856, pp. 33-43. La lapide che lo ricorda in Duomo posta nel 1567 così fu incisa: "Wividibodo - Caroli magni nepotis -Ecclesiae parmensis Episcopo et Comiti - viro religiosissimo - canonici parmenses beneficit non immemores - dignitatis eorum auctori - P.P.A. MDLXVII".

(4) AFFO' IRENEO - idem c.s. - vol. I, p. 263.

(5) Tale notizia come ulteriori, unitamente ad altre di minor valore riguardanti sempre San Secondo, si possono trovare nei volumi di ALLODI M. GIUSEPPE - Serie cronologica dei vescovi di Parma - Parma, da Pietro Fiaccadori 1856.

Molte di queste notizie, sino al XII secolo, si incontrano negli appositi indici dei tre volumi di DREI GIOVANNI - Le carte degli archivi parmensi - Parma, presso l'Archivio di Stato, 1950.

Numerosi sono poi i riferimenti alle pergamene dell'Archivio capitolare di Parma.

(6) Archivio Storico per le Provincie Parmensi - voi. XXVI, p. 170.

(7) Ogni masserizia era composta da 12 iugeri.

(8) AFFO' IRENEO - idem c.s. - vol. II, p. 221.

(9) Moneta d'oro bizantina sinonimo d'ogni moneta d'oro orientale.

(10)Pergamena nell'Archivio Capitolare in Parma - vi, 636.

Periodo Feudale

(1) Strada di origini probabilmente romane venne definitivamente sistemata nel periodo longobardo ed univa, attraverso i passi della Cisa e del Cirone, l'Italia settentrionale alla meridionale.

(2)Vedere: DODI LUIGI Le formazioni urbane nel parmense - Azzoni editore - Parma 1965 - pp. 21~22O.

(3) Tale tratto di storia si può ritrovare in modo più esteso negli scritti del:

CAVICEO I. - Vita di Pier Maria Rossi - mss. del sec. XV; RUSTICI G~ Cantilena in onore di Pier Maria Rossi; LITTA P. - Famiglie celebri - I Rossi; BERNINI F. Articoli vari apparsi nella rivista " Aurea Parma ": 1933, pp. 186-199. 1935, pp. 113-120 - 1936, pp. 134; CARRARI V. - Historia de' Rossi parmigiani - Ravenna Tebaldini - 1583; PELIcELLI N. - Pier Maria Rossi e i suoi castelli - Zerbini Fresching 1911 - pp. 83-107.

(4) E' raffigurato sulla sala di " Adone" fra i benefattori della famiglia.

(5) POCHETTINO - "Una festa nuziale a San Secondo nel 1523" - Gazzetta di Parma - 6 agosto 1923.

(6) RICCI CORRADO - Di alcuni quadri del Parmigianino già esistenti in Parma - Archivio Storico per le provincie parmensi – V-IV - 1895 - pag. 21.

(7) Nello stesso momento il Duca Ottavio fece spianare in parte anche le fortificazioni di Roccabianza, castelguelfo e Colorno.

(8) BONAVENTURA ANGELI nella sua "Historia...." del 1590 dedicando a Troilo Il la narrazione della gesta dei Rossi ripetendo le parole del CARRARI riferisce: " Troilo datosi alle fabbriche con spesa veramente regia, aggiunse due gran baluardi al suo castello ed ampliò di nuove stanze ed edifici, facendo in una gran sala dipingere fatti egregi della sua famiglia accomondandola dicon, in maniera che vi si può abitare regolarmente, anche da privato signore".

(9) Esiste un mss. cartaceo di 36 pag. di: " Federici Roscii Petrim. e iunioris filii Elogia virorum Rosclorum, bellica virtute et literis illustrium", senza dubbio autografo, perchè fitto di cancellature. Ha notevole importanza, perchè Federico, figlio di Pier Maria vi descrive ascendenti. Ecco per esempio un particolare relativo all'ava Camilla Gonzaga: " quod voro falicitatem suam magis fortasse auget, domi a puicherrima prole circumdatam se conspicit...". Anche nel ricordato quadro del Parmigianino (fig. 2) Camilla appare circondata dai figli. Il mss. ai tempi dell'Affò (Storia di Parma III, 32) esisteva nel palazzo di Cremona del Conte di San Secondo.

(10) I Rossi avevano estesi possedimenti nel contado cremonese a Farlengo e nella città di cremona un bellissimo paiazzo (divenuto poi palazzo Stanga).

(11) Fra i documenti dell'" Archivio Rossi" all'Archivio di Stato di Parma vi è la " Descriptio et Apprechensio facta monime excellentissime Duc. camere de Bonis omnibus q. Illmi D. co. Trioli (sic) de Rubeis co. S. Secundi" del 5 dicembre 163S.

Tale inventano completo di beni mobili e immobili di Casa Rossi, redatto per la confisca del feudo, è particolarmente importante perchè ci permette di stabilire con esattezza, insieme e molti altri dati, la distribuzione e denominazione dei locali e la natura dei mobili.

(12) Archivio di Stato - Parma - carte Rossi.

Periodo Post-Feudale

(1) Bembo Benedetto, bresciano, fu attivo verso la metà del 1400 - L'affresco in oggetto era già eseguito nel 1463.

(2) BENASSI UMBERTO - Esposizione di cartografia parmigiana e piacentina. Tip. Adorni - Parma 1907 - pp. 9-10.

(3) Tale descrizione si può trovare nel II volume la " Diocesi di Parma " di Don Schiavi - pp. 104-226.

(4) MASSA EUGENIO – "Parma e Provincia" – Parma 1913 – pg. 664

(5) Da " Ode " dell'arcade Ingenuo recitata nell'Accademia il 20 dicembre 1771.

Se ne può trovare un estratto in " Donne e uomini del settecento parmense" di

Ildelfonso Stanga - pag. 356. Nella sestina seguente si apprende che il Duca Don

Ferdinando "piaga a morte il cervo corridore".